Il mondo è cattivo.
Soprattutto con gli animali.
Non voglio misurare la gravità del male, né stabilire una gerarchia di sofferenze. È naturale che, in quanto esseri umani, restiamo più colpiti dalle ingiustizie che feriscono la nostra specie, (per alcuni) la nostra etnia, la nostra comunità, i nostri vicini, le persone che amiamo. Ma se gli animali potessero usufruire dello stesso sistema giuridico che abbiamo costruito per noi stessi, sono certo che le statistiche mi darebbero ragione: i delitti, le crudeltà, le violenze contro gli animali supererebbero di gran lunga quelli che commettiamo tra noi.
Ne ho vista tanta di violenza, in questi anni a Rifugio Miletta.
Ne ho vista abbastanza da poter dire che sì, il mondo è cattivo.
E lo è in modo strutturale, non accidentale. Non si corregge.
Per quante ore dedichi, per quanto ti sfianchi di fatica, per quante notti resti sveglio, non riuscirai mai a compensare neanche una minima parte del male che viene fatto. È una matematica spietata.
Il male non vive solo in chi lo commette, ma anche in chi lo giustifica. Quando qualcuno stupra, uccide, ruba, estorce, una parte consistente della società, quella che si definisce “normale” o “perbene”, comincia a cercare attenuanti. “Era fragile”, “Ha perso la testa”, “Non voleva davvero”, “È un bravo ragazzo”, “Salutava sempre”. Si giustifica sempre il potente, il carnefice; si cercano scuse perfino davanti ai genocidi, ma mai per chi prova a ribaltare un’ingiustizia. Se il male trova sempre un coro di giustificazioni, se l’indifferenza diventa una forma di complicità, come possiamo ancora dire che il mondo non è cattivo? Non tutti fanno il male, è vero. Ma troppi lo comprendono. Troppi lo accettano. Troppi lo rendono possibile.
Allora perché continuare, se tutto questo sembra inutile?
Più passano gli anni, più mi convinco che il bene non vincerà mai sul male, perché è più diffuso, più facile, più conveniente. Il bene, invece, è lento, stanco, spesso solitario. E tuttavia, continuo. Perché credo che sia giusto così, perché smettere significherebbe consegnare definitivamente il mondo alla cattiveria che già lo governa e perché, nonostante tutto, non riuscirei a scegliere nessun’altra strada. Forse perché mi rimane la speranza, molto fragile, di riuscire almeno a spostare un po’ di luce, a cambiare la traiettoria di qualche esistenza, a lenire un dolore, a guarire una ferita, a dare una seconda possibilità. Alcune vite, in effetti, le abbiamo cambiate.
Anche i nostri veterinari ne hanno viste tante. E non è facile essere un veterinario antispecista: significa essere esposti, ogni giorno, alla violenza che vorresti estinguere. Non si tratta di curare il cane amato o il gatto di famiglia: si tratta di intervenire su animali sconosciuti, spesso selvatici, che arrivano mutilati, feriti, avvelenati, investiti e abbandonati. Ti ribelli ad un sistema che vorrebbe la soppressione come cura facile e veloce per tutti i casi complessi. Per ogni vita salvata, ce ne sono decine che non raggiungeranno mai il rifugio. Non è facile.
Mi piacerebbe raccontarvela, un giorno, l’esperienza di chi, come la nostra veterinaria Susanna, affronta questa realtà con lucidità e compassione. E lo faremo.
Poi ci sono quelli che dicono:
“Dovresti occuparti dei bambini! Degli umani!”
Come se la vita fosse un mercato e la pietà una risorsa da amministrare.
La vita è fatta di volontà, certo, ma anche di incontri, di circostanze, di deviazioni che ci cambiano il percorso.
Io stesso, anni fa, immaginavo un’altra rotta per me: mi vedevo su una nave nel Mediterraneo, a documentare i soccorsi dei naufraghi o alle Faroe a documentare le stragi delle balene. C’era sempre una nave di mezzo e una macchina fotografica al collo… che fatto curioso.
Ma la vita (e le persone che ho incontrato) mi hanno portato qui, a Rifugio Miletta, accanto alla persona che amo, in un luogo dove il naufragio è diverso, ma non meno reale.
Sento che il mio apporto qui non è ancora finito: ho ancora neuroni, qualche energia e senso da dare a questa causa.
Per questo non avrebbe alcun senso mollare per compiacere chi, da fuori, pensa di poter decidere come io debba investire il mio tempo, la mia fatica, il mio dolore.
A chi lo pensa, rispondo:
fai qualcosa.
E non rompere i coglioni.
Ho dettato queste righe al telefono, tornando da un soccorso: un gatto adulto, ferito, chiuso in un sacco e gettato a lato strada. I suoi lamenti di dolore, difficili da dimenticare, mi hanno riportato alla mente un post di Saverio Tommasi, scritto dopo aver ricevuto minacce di morte per l’attività della sua associazione che aiuta i senzatetto. In quel post diceva che l’Italia è fatta, in gran parte, da persone così: sostanzialmente cattive. E mi trova d’accordo.
Francesco Castaldo
Volontario di Rifugio Miletta dal 2015.














No! Mai mollare! È l’acqua cheta che distrugge i ponti. L’umanità è uno sbaglio dell’evoluzione (lo sempre pensato). Non è soggetta alla selezione naturale (pochissimo), altrimenti gli umani sarebbero a rischio estinzione (magari!). Mi disturba fare parte di una specie così inutile,dannosa,stupida e arrogante e, allora…con tutte le nostre forze,anche se siamo in minoranza,combattiamo !
Il non rompere i coglioni però dev’essere reciproco! Passi la tua boria come se fossi sempre puntualmente incazzato, passi la tua arroganza verso chiunque sbaglia in buona fede cercando di fare del bene soccorrendo un animale (non tutti seguono Rifugio Miletta e chi lo fa sa già come comportarsi), ma l’invasione di interventi relativi a Gaza (sono pacifista convinta e i bambini non muoiono solo lì) e adesso anche citare Saverio Tommasi mi sembrano davvero eccessivi. Occupatevi del benessere animale, fate quello che volete nel privato ma la pagina dovrebbe essere APOLITICA. D’ora in poi sospendo la mia donazione mensile e sosterrò altre associazioni, perché gli animali non hanno colpa, che magari sanno porsi diversamente con chi aiuta!
Mi dispiace sinceramente che tu abbia deciso di interrompere il sostegno, ma preferiamo essere coerenti piuttosto che compiacenti.
Rifugio Miletta nasce da un’idea semplice ma radicale: la compassione non è selettiva ma va “oltre i confini di specie”.
Non possiamo chiedere empatia per gli animali e ignorare la violenza, l’ingiustizia o la sofferenza quando riguardano altri esseri viventi.
Non è “politica”, è coerenza etica.
Nel post Saverio Tommasi non è citato. È semplicemente nominato: “I suoi lamenti di dolore, difficili da dimenticare, mi hanno riportato alla mente un post di Saverio Tommasi, scritto dopo aver ricevuto minacce di morte per l’attività della sua associazione che aiuta i senzatetto. In quel post diceva che l’Italia è fatta, in gran parte, da persone così: sostanzialmente cattive. E mi trova d’accordo“. Parlare di Gaza, o riconoscere la crudeltà del mondo non toglie nulla agli animali che soccorriamo ogni giorno; al contrario, rende esplicito il motivo per cui li soccorriamo: perché rifiutiamo ogni forma di sopraffazione, da qualunque parte provenga.
Quanto al “sbagliare in buona fede”, nel soccorso degli animali selvatici non è un dettaglio… Un errore in buona fede può significare la morte di un animale che si poteva salvare, per questo insistiamo tanto: perché dietro ogni raccomandazione ci sono corpi reali, non parole. E se leggi i post di altri CRAS, vedrai che sono molto più duri di noi verso il “fai da te”.
Chi ci sostiene o semplicemente ci segue non deve pensarla come noi, ma deve sapere chi siamo. E noi non fingiamo neutralità per convenienza: la neutralità, di fronte al dolore, è una forma di complicità.
Ti auguriamo di trovare un progetto che rispecchi la tua sensibilità. Noi continueremo a fare ciò che crediamo giusto, anche quando non è facile o popolare.